Non è un caso che la mostra in corso all'Albertina fino al 13 ottobre
sia vietata ai minori di 16 anni. Le raffigurazioni di un'infanzia
devastata che campeggia nelle tele, nelle gigantografie, negli
acquerelli, nei disegni, possono anche essere equivocate come
compiaciute. Tuttavia Helnwein ha dalla sua reiterate prese di posizione
che paiono inequivoche, nonché alcuni scandali suscitati da opere di
accusa sociale, come la sua serie sui suicidi in Austria o il duro
intervento pubblico del 1979 contro l'impunità di un noto medico
viennese dal trucido passato nazista.
Certo, innegabile è nell'arte di Helnwein l'humus artistico
dell'Azionismo Viennese, che con happenings estremi violò i tabù della
società austriaca degli anni Sessanta e Settanta, nel tentativo di
liberare le nuove generazioni dall'opprimente coltre del post-nazismo e
di un cattolicesimo rigido e imperante sull'educazione e l'istruzione,
ma che si manifestarono anche attraverso spiccati autolesionismi, come
urli di disperata impossibilità di incidere su una realtà monolitica e
tetragona. Un senso di rabbiosa impotenza, che ha segnato anche la
letteratura austriaca del dopoguerra, serpeggiando nelle opere di Thomas
Bernhard, di Peter Handke o Elfriede Jelinek.